In vigna veritas. “Sì, noi crediamo nella vigna. Perché ogni azienda ha una vigna predestinata. Che porta in sé già i tratti distintivi del vino che verrà”, spiega Marco Maggi, presidente del Club del Buttafuoco Storico. Un marchio privato e registrato, che se ne sta sotto la denominazione di origine controllata ma che tiene fede a un rigido disciplinare interno, soggetto a continui controlli di filiera. Un club prestigioso, fondato nel 1996 da undici vignaioli visionari dell’Oltrepò Pavese. E che nel 2020 celebra i suoi primi 24 anni di fertile attività. Quasi un quarto di secolo. Ma lui è in forma strepitosa. E lo dimostra.
Un vino raro e prezioso il Buttafuoco Storico. Figlio di un territorio ben definito e circoscritto: in provincia di Pavia, in quella historical zone denominata lo “Sperone di Stradella”. Per capirci: a ovest c’è il torrente Scuropasso; a est scorre il torrente Versa; a nord è posizionata la Pianura Padana e a sud stanno Castana e Pietra de’ Giorgi. Due dei sette comuni contemplati dal club, insieme a Broni, Canneto Pavese, Cicognola, Montescano e Stradella. Segni particolari? Nel bel mezzo passa il 45esimo parallelo. La latitudine enologica baciata da Dio. Un suolo variegato, pronto a inanellare ghiaie, arenarie e argille. Ma anche un terroir caratterizzato da inverni piuttosto freddi e da estati calde e ventilate. E poi? Le vigne - 17 in toto per 22 ettari complessivi - godono di uno status privilegiato, grazie a una lunga insolazione diurna e a correnti ascensionali serali che si insinuano tra i filari. Perché sempre lì si torna. Alla vigna. Matrice e nutrice del Buttafuoco Storico.
Proprio così. In ogni singola vigna - riportata in etichetta - è celato il dna di ogni vino. Che è un cru. Null’altro che un piccolo ed esclusivo cru. Il motivo è presto detto. In ciascun vigneto convivono già tutti e quattro i vitigni che danno origine al Buttafuco Storico: croatina (per il 50%), responsabile dell’elegante tannicità, del color rubino e del sentore di frutta rossa; barbera (per il 25%), a determinarne acidità e spina dorsale; e poi uva rara e ughetta di Canneto. Uve che crescono insieme, che vivono insieme, che vengono raccolte insieme (manualmente) e che macerano e fermentano insieme. Un lavoro corale. Emblema di integrazione. Ma attenzione: un uvaggio non certo semplice da fare. “Si tratta di uve che hanno tempistiche differenti. E la difficoltà sta nel portarle tutte alla perfetta maturazione”, precisa Maggi. Raccontando le peculiarità del super rosso. Che deve affinare in botti di rovere per almeno dodici mesi. Per poi essere messo nella classica bottiglia oltrepadana. E riposare. Per debuttare in società non prima dei tre anni dalla vendemmia. Dimostrando corpo, intensità, forza, razza, profondità e struttura. Quella di un vino fermo, austero, luminoso, vivo, scattante e longevo, che tiene bene il tempo. Che non teme il tempo. Esprimendo la complessa personalità del suo genius loci.
Un vino dalla spiccata identità. Che porta tatuato sulla bottiglia - inciso nel vetro come un cameo - il suo marchio. Un logo riconoscibile, che ne attesta l’autenticità. Un ovale - a rammentar il profilo di una botte - che racchiude un veliero. Sì, una nave dalle vele spiegate e infuocate. Mentre due sinuosi nastri rossi - metafora dei torrenti Versa e Scuropasso - paiono sostenere il nome Buttafuoco. Quasi a delimitarne l’area geografica. Un tempo fondamentale crocevia per condottieri, mercanti e pellegrini. Costretti a passar di lì. E di lì leggenda vuole che a metà dell’Ottocento sia passata una compagnia di marinai austroungarici, impegnati a traghettar le truppe sul Po. Marinai che, distratti e attratti da un vino locale, chiamato Buttafuoco, disertarono (e persero) la battaglia, facendo invece strage di bottiglie. Sta di fatto che, a memoria dell’accaduto, la marina imperiale varò una nave col nome di Buttafuoco. Perfetto per un vino che geolocalmente parlando: al buta mel fog.
Ma ogni bottiglia esibisce pure un bollino. Che mette in evidenza i fuochi dell’annata. Una sorta di sigillo di qualità. Come le stelle della Rossa o degli hotel. Da 3 a 6 fuochi per la precisione. Che fanno riferimento ai centesimi di valutazione (da parte di una commissione di cantina). Da 80 a 85 centesimi, 3 fuochi; da 86 a 90 centesimi, 4 fuochi; da 91 a 95 centesimi, 5 fuochi; da 96 a 100 centesimi, 6 fuochi. Com’è accaduto al millesimo 2007. Una splendida annata. “Magica”, come docet il sommelier Roberto Pace, in occasione di una degustazione - all’ombra del milanese Castello Sforzesco - che ha messo sul tavolo una verticale (alla cieca) di dieci annate. Dal 1996 (l’incipit) al 2016 (l’hic et nunc). Sancendo le tante virtù del Buttafuoco Storico, fra cui l’elevata capacità d’invecchiamento.
Sedici i produttori associati al club. La new entry è infatti rappresentata da Tommaso Cavalli del Piccolo Bacco dei Quaroni, con il "Vigna Cà Padroni". Gli altri? Eccoli: l’azienda vitivinicola Calvi, con il cru “Vigna Montarzolo”; la Tenuta La Costa, con il “Vigna Catelotta”; l’azienda agricola Carla Colombo, con il “Vigna di Frach”; la maison Diana, con il “Vigna Poggio Cà Cagnoni”; l’azienda Colombi, con il “Vigna Casa Barnaba”; l’azienda vitivinicola Fiamberti, con il “Vigna Sacca del Prete” e il “Vigna Solenga” (sì, Giulio Fiamberti conta due cru nel club); la maison Francesco Maggi, con il “Vigna Costera”; l’azienda agricola Fratelli Giorgi, con il “Vigna Casa del Corno”; l’azienda Franco Giorgi, con il “Vigna del Garlenzo”; la maison Massimo Piovani, con il “Vigna Bricco in Versira”; l’azienda Luigi Riccardi, con il “Vigna Canne”; Il Poggio, con il “Vigna Badalucca”; Poggio Rebasti, con il “Vigna Pitturina”; l’azienda Scuropasso-Moscarino, con il “Vigna Pianlong”; e l’azienda Francesco Quaquarini, con il “Vigna Pregana”. Un cru bio, che vanta un’etichetta suggellata dal tratto di Fabrizio De Filippi, in arte Tom (un suo vecchio soprannome), fiera di ritrarre la sagoma di un carabiniere. "Una dedica a mio nonno Guido, che amava bere il buon vino", spiega Fabrizio, originario di Broni.
Vigne. Iconiche vigne. Ma c’è pure una sorta di cuvée delle vigne, incarnata nel nettare consortile: “I Vignaioli del Buttafuoco Storico”, un blend dei differenti cru. Un assemblaggio delle diverse partite “atte a divenire Buttafuoco Storico”. Un vino-vessillo. “Perché noi siamo una famiglia e ci muoviamo insieme sotto un’unica bandiera”, dichiara il direttore del consorzio-club Armando Colombi. Così, ogni annata, ha il suo vino-ambasciatore, firmato da un enologo super partes, come Emilio Defilippi per il 2015. Successo a Mario Maffi, Aldo Venco, Claudio Colombi e Carlo Saviotti.
E sempre nel nome “dei Vignaioli del Buttafuoco Storico” ci sono pure la grappa, figlia delle vinacce delle quattro uve utilizzate, e il Chinato, complici china calisaya, genziana, rabarbaro, cardamomo, arancio amaro, arancio dolce, cannella e chiodi di garofano. Da degustare, insieme al grande rosso, anche nell’Enoteca di Canneto Pavese. L’headquarter del club - con tanto di cantina annessa e connessa - aperto, su prenotazione, dal martedì al sabato.