Ci aveva visto lungo. Già nel lontano 1964, quando tutto iniziò. E quando in cucina imperversavano dadi da brodo, carni in scatola e fettuccine al burro. E invece lui no. Lì pronto a puntare il dito sui diversi territori del Bel Paese e sulle specialità di multiformi tradizioni perfettamente geolocalizzate. Dino Villani, da grande pubblicitario e uomo d’arte e cultura, fu davvero un antesignano del chilometro zero quando ebbe l’idea di accendere i riflettori sul gustoso hic et nunc. Come? Con una formula decisamente illuminata e avanguardista (almeno per l’epoca). Da una parte i ristoratori, pronti a proporre in carta una tipicità locale, un must regionale o provinciale, in grado di comunicare al meglio la cultura di una determinata area geografica. Dall’altro lato i commensali, orgogliosi di assaggiare queste specialità e fieri di portare a casa un bel ricordo. Anzi, un “Buon Ricordo”. Insomma un piatto, inteso come software da assaporare e hardware da tenere, conservare ed esibire. Appeso su una parete del salotto. Per rammentare (a se stessi) e raccontare (ai propri ospiti) un’esperienza emozionante. Un modo intelligente per difendere e diffondere la cucina territoriale italiana.
Non dimenticando un profondo valore artigianale. I piatti, infatti, non erano e non sono piatti qualunque. Bensì dipinti a mano dagli abili maestri della Ceramica Artistica Solimene di Vietri sul Mare, in provincia di Salerno. Utilizzando solo ed esclusivamente colori senza piombo, rispettosi delle norme previste per i contenitori alimentari. Per rendere onore con stile al made in Italy.
Nasce così l’Unione Ristoranti del Buon Ricordo. All’inizio, alimentata da una dozzina di insegne, ma via via sempre più nutrita e ramificata lungo tutto lo Stivale. Basti pensare che la guida 2019 conta un centinaio di indirizzi (di cui nove all’estero, distribuiti fra Europa e Giappone) con un claim a puntualizzarne la mission: “Per collezionisti di emozioni”. Anche perché nel frattempo è nata anche l’Associazione dei Collezionisti (autonoma rispetto all’Unione, ma complice del suo messaggio). Ed è pure sorta la Fondazione Italiana Buon Ricordo, impegnata nell’orchestrazione di dibattiti, convegni e riflessioni sul tema.
Cos’è cambiato? Che d’ora in avanti il piatto-simbolo del Buon Ricordo viene associato a un menu degustazione e non a una singola portata. Ovvero, solo chi sceglie di sperimentare l’intero “Menu del Buon Ricordo” ha diritto al prezioso e ambito dono in ceramica. Un percorso che ovviamente ruota intorno alla specialità dell’insegna, ma che non si limita a quella tappa. Inanellando altre pietanze, pronte a variare col mutare delle stagioni, ma capaci di narrare tante altre storie della cultura e delle colture di uno specifico territorio. Un viaggio locale ma dal panorama più globale. Un modo per allargare lo sguardo e per educare il commensale a respirare e assaggiare il genius loci.
Nel frattempo, i piatti hanno cominciato a scendere dai muri per conquistare il desco. Utilizzati per apparecchiare la tavola e per mangiarci inside. Inoltre sono apparse le mini riproduzioni dei piatti stessi, magnetizzate e smaltate, pensate per vivacizzare gli sportelli dei frigoriferi e gli elettrodomestici di uso quotidiano. Una sorta di upgrade contemporaneo del Piatto del Buon Ricordo. Piccoli magneti-gadget, che non sono in vendita, ma donati liberamente e volontariamente dal ristoratore al cliente.
Guarda al futuro il Buon Ricordo. Conservando la sua identità ma virando un po’ rotta, mettendo in paniere ambiziosi progetti e nominando un nuovo consiglio direttivo, presieduto da Cesare Carbone della Manuelina di Recco e coordinato dal segretario generale Luciano Spigaroli, fratello di Massimo e alla regia del ristorante Al Cavallino Bianco di Polesine Parmense. E se Giovanna Guidetti dell’Osteria La Fefa di Finale Emilia è vicepresidente, gli altri consiglieri sono Massimiliano Masuelli della meneghina Trattoria Masuelli; Vincenzo Barbieri dell’hotel che porta il cognome di famiglia nella cosentina Altomonte; Carlo Bianconi del Granaro del Monte 1850, a Norcia; Giorgio Borin de La Montanella di Arquà Petrarca; Sergio Carboni della Locanda degli Artisti, nella cremonese Cappella de’ Picenardi; Domenico De Gregorio del napoletano Lo Stuzzichino di Sant’Agata sui due Golfi; Genuino Del Duca del Ristorante Enoteca Del Duca, a Volterra; e Franco Marini del Là di Moret di Udine.
Intanto, sono ben nove le new entry nella guida 2019. Presentata in occasione di una serata alle Officine del Volo di Milano. Il che significa nove nuovi piatti tutti da assaggiare e collezionare. Voilà lo Sformato di baccalà con crema di ceci e peperoni cruschi de L’Antico Borgo di Morano Calabro (Cosenza); Le stagioni del risotto by La Locanda dei Beccaria a Montù Beccaria (Pavia); il Risotto al radicchio rosso, salsa di parmigiano, gel di ribes e prosciutto di Parma by La Forchetta, proprio nel centro storico della città creativa per la gastronomia Unesco; e i Tagliolini semi integrali fatti a mano con bitto e pesteda di Grosio del Ristorante del Porto Menaggio, sul Lago di Como. Semplici e seducenti, per via di un trito di erbe local dall’intrigante freschezza. E ancora, la Zuppetta di mare del Buon Ricordo by Ciccio Marina, a Marina di Carrara; il Baccalaj cu gli peprinij rosica rosica dell’Osteria Al Borgo di Avigliano, in quel di Potenza; i Curzùl (in dialetto, le stringhe delle scarpe) con zucchine, guanciale e pecorino di fossa della Trattoria Bolognesi “da Melania” di Castrocaro; la Tagliata di tonno in agrodolce del parigino A Tavola; e i Ravioli del Cherche Midi in Paris.
Altre cinque insegne cambiano invece specialità. Opportunità concessa dallo “statuto” dell’Unione. Ecco allora la Lombata di coniglio in porchetta del Prêt à Porter di Bagno di Romagna, guidato da Paolo Teverini; le Girelle di persico al burro e salvia del Gardesana di Torri del Benaco; il Reale di manzo “cbt” laccato con spuma di patate al Montebore de La Fornace, a San Vittore Olona, in provincia di Milano; l’Insalata di coniglio, verdure dell’orto e uovo di quaglia dell’emiliana Osteria La Fefa; nonché La crapiata de La Luna nel Bosco della Giubileo Maison di Pignola (Potenza). Una zuppa preparata con orzo e farro, pane di Matera, olio extravergine delle colline lucane, ceci, cicerchie, lenticchie, fave, fagioli borlotti e cannellini di Sarconi. Un inno contadino alla Basilicata.
Una grande intuizione quella del Villani. Lo sottolinea anche nella prefazione alla guida 2019 (in distribuzione gratuita nei ristoranti associati e scaricabile dal sito ufficiale) Antonio Santini, deus ex machina del ristorante Dal Pescatore, a Canneto sull’Oglio. Antonio che, parlando di Dino, desidera sottolineare «quanto la sua idea di cristallizzare il "ricordo emozionale" di una pietanza legandola al suo contenitore - la stoviglia - sia stata rivoluzionaria. Villani con questa intuizione, ha messo in luce gli aspetti metonimici e sinestetici del cibo. Quel contenitore, quel piatto, che l’ospite porterà via con sé condensa e fissa per sempre nella memoria - rendendola peraltro tangibile - tutta l’esperienza dei cinque sensi (sinestesia) provata nel gustarne il contenuto (metonimia)».
Foto nella gallery in bianco e nero: Dino Villani a tavola fra Lucia Bosè (a sinistra) e Gina Lollobrigida by Archivio Pubblicitario Villani, 1947