“Perché si chiama BoB? Semplice. Perché sintetizza bene l’unione fra bao e bourbon”, spiega Enzo Pan, direttore dell’insegna palindroma di via Pietro Borsieri. Divenuta, in un solo anno, un punto di riferimento per bere molto bene a Milano. Uno luogo soft, sofisticato, originale, anticonformista. Vuoi per quel suo matchare Mediterraneo, Oriente e Oltreoceano. Vuoi per quel mix di classico e contemporaneo, indigeno ed esotico. Vuoi per una bottigliera volutamente premium e per una proposta food coerente col mood. Sta di fatto che i gemelli Hu, Luca e Michele - quelli del Chinese Box - hanno fatto un altro goal. Mettendo a punto un locale originale e un team fuoriclasse.
Se alla regia del bancone spicca infatti il talentuoso Lucian Bucur, anche il bartender di origini peruviane Cesar Araujo ha dimostrato un certo savoir-faire con shaker, strainer e bar spoon. Al punto da esser proprio lui a griffare la collection list di primavera. Segni particolari? L’altissima qualità, ma anche il gioco, l’ironia, l’audacia e la saggezza di saper miscelare tradizioni e volitive evoluzioni. Rendendo omaggio al bourbon whiskey statunitense. Ma non dimenticando altri distillati internazionali. Selezionati con meticolosità. “Ricerchiamo prodotti dai sapori veri, autentici, quasi ancestrali”, puntualizza Cesar.
Una carta cocktail studiata con assoluta cura. Che anzitutto fa spazio a una serie di divertissement sul “Whiskey Sour”, proposto anche in declinazione aromatica (con Kentucky straight bourbon whiskey, Amaro di angostura, zucchero, limone e albume) e in versione speziata (con japanese whisky, sciroppo al tè matcha, zenzero, limone e albume). A cui si aggiunge una variazione sul tema del celebre “Old Fashioned”, presentato in foggia floreale (con Jack Daniel’s Tennessee straight rye whiskey, zucchero e Peychaud’s bitter) e in tono robusto (con Michter’s whiskey, caffè, miele e smoked bitter). Mentre il “Los 5 Puntos” fa l’inchino alle terre andine, unendo Wild Turkey bourbon, pisco, cordial lime, Peychaud’s bitter e sciroppo d’ananas grigliato. “Scaldo l’ananas per estrarne le parti vanigliate”, precisa Araujo.
E via che prepara un altro drink. Più fresco e delicato come “Tra i cespugli”, summa di Russian Standard Vodka, sloe gin (alle bacche di prugnolo selvatico), shrub ai lamponi, tè all’ibisco e polvere di barbabietola.
Ma il whisky torna. Il Nikka from the Barrel, per la precisione. Dal vigoroso spirito nipponico. Pronto a dar forma, insieme a sake, sciroppo salato al cacao e timo, limone e chocolate bitter, al “Coming Soon”, aromatico e vellutato. Popcorn caramellati come garnish. “Per creare questo cocktail lascio in infusione nello sciroppo la cáscara”, racconta Araujo. Facendo riferimento alle bucce delle fave di cacao di Claudio Corallo.
Invece, il Wild Turkey rye whiskey finisce in una tazza di porcellana. Sotto il nome di “Mr. Ripley”. Complici Select Aperitivo, Punt e Mes e infuso alla menta. “Praticamente, un americano che ruba la ricetta al Negroni”, commenta il bartender.
E il mezcal? Eccolo, artigianale e messicano sino alla linfa. Certo, un pure single palenque, targato Baltazar Cruz e ricavato da agavi della specie tobalá. Qui valorizzato in un drink vivace, limpido e brillante quale “Vacanze Pagate”. Cui concorrono pure Americano Cocchi, cordial al lime e cetriolo, dry curaçao, spicy celery bitter e ginger beer.
Più tropicale, speziato e spensierato invece lo “Stolen from Eden”, che elegge a protagonisti un mix di rum caraibici, cognac, sciroppo di maracuja, lime, albume e Falernum. Il tutto servito in vanitose coppe dagli interni dorati. Per un tiki dalle nuance raffinate.
Deciso, determinato e ambrato è poi il “Testa Calda”. Pungente riassunto di Islay single malt scotch whisky, L’Aromatico by Farmily e Drambuie, iconico liquore dell’isola di Skye, figlio di whisky scozzese invecchiato, miele di brugo, erbe aromatiche e spezie.
Così come piacevolmente speziato e rinfrescante è il "Pianta Carnivora", drink omaggio alla Poison Ivy (Edera Velenosa) di Batman. Intrigante compendio di Hendrick’s gin, sciroppo alla rosa e cardamomo, lime, basilico, Chartreuse gialla e verde e ginger ale. Per femmine? Non esattamente.
E per accompagnare le alcoliche creature? Edamame, radici di loto, patatine fritte homemade, verdure in pinzimonio, involtini alla verdure e una carta di piccole pietanze studiate da Fabrizio Carta, cuoco dai natali sardi. Bao in primis. Per non tradire l’asiatica promessa dell’insegna. Voilà il “Chikin”, con pollo fritto in tempura, maionese di tofu e insalata iceberg; il “Quak” con anatra alla pechinese, carote, cetrioli e salsa alle prugne; e il “Club Bao”, con pollo sfilacciato, bacon, uova marinate, insalata, pomodoro e maionese.
E ancora, il “Sanwenyu”, con salmone marinato in limone e lime, avocado e jalapeño; e il “Kraken”, black bao al nero di seppia con polpo arrosto, pomodorini e crema di patate.
Non trascurando i dumpling, ravioli della tradizione orientale dai sorprendenti ripieni e dagli insoliti impasti. Rosati, per via dell’estratto di barbabietola, con salmone, tofu, mango e salsa d’ostrica; verdi, con estratto di spinaci e farcitura alla crema di edamame, noce moscata e pecorino romano; arancioni, con estratto di carota e ripieno di scamone di manzo e olio al tartufo bianco. Mentre quelli con patate, caciocavallo, yuzu, limone e concassé di pomodoro ricordano, anche nella forma, i culurgiones. Per dim sum che parlano sardo.
E la domenica? Brunch, dalle 12 alle 15 (a 20 euro), ritmato da buffet, uova (strapazzate, all’occhio di bue o in camicia), acqua, caffè e un piatto a scelta dal menu. Per spaziare fra bao, bowl e dumpling.
Il BoB è aperto la sera, dal martedì alla domenica, dalle 18 alle 2 di notte.
Molte foto in gallery by Modestino Tozzi