Tutta colpa di Enzo. Che agli inizi degli anni Ottanta s’innamora della campagna emiliana. Quella rigogliosa, generosa e autentica delle colline di Castelvetro, nel Modenese. “C’erano i vigneti e la casa contadina. Così papà acquistò i terreni, decise di coltivare le vigne, ristrutturare gli edifici e assumere pure il contadino. Elevandolo al rango di cantiniere”, racconta con orgoglio Maria Livia Manicardi, attualmente alla guida della maison che porta il suo cognome.
Trentacinque gli ettari di proprietà attuali, di cui ventuno a vigneto. Anche se poi è l’aceto balsamico a dare il tocco esclusivo alla produzione. Sempre figlio del mosto d’uva cotto - principalmente da uve trebbiano e lambrusco - ma suddiviso in tante “famiglie”, differenti fra loro. A seconda del tempo di affinamento, della concentrazione del mosto e del tipo di legno di botti e botticelle: castagno, rovere, gelso, ciliegio e ginepro. Tante linee per rispondere alle più diverse esigenze. Di gusto e di abbinamenti gastronomici.
Un mondo semplice e complesso quello di Manicardi. Da scoprire attraverso la lente di in gradimento di uno chef lontano dai clamori e vicinissimo a una filosofia fatta di meditazione, audacia e tenacia. Perché il tempo, quello lento della pazienza, concede sempre ottimi frutti.
Un pranzo tra il serio e il f(aceto)
“L’umile Champagne dell’Emilia Romagna” lo definiva Mario Soldati. Mentre Luciano Pavarotti preferiva associarlo a “uno spumante selvaggio e ineducato”. In effetti, il Lambrusco è un po’ così: allegro e gentile, ma talvolta un po’ scorbutico. Indubbiamente intenso, energico e vigoroso. Come “Enzo”, intitolato al babbo e ottenuto da uve lambrusco grasparossa coltivate in regime biologico.
Un nettare rubino e fragrante, pieno e corposo. Perfetto compagno di una serie di pietanze firmate Marco Ambrosino: lo chef procidano del 28 Posti, contemporaneo bistrot sui Navigli di Milano. No, nulla di vacuamente trendy. Anzi, uno spazio materico e denso, ruvido e grezzo, silenzioso e un po’ austero e introverso. Quasi come il Lambrusco. Ritmato da tavoli, porte e armadi disegnati da Francesco Faccin, ma realizzati dai detenuti dell’istituto penitenziario di Bollate, con il contributo del maestro ebanista Giuseppe Filippini. Un luogo vero, che fa cucina schietta e sincera. Usando prodotti autentici.
Così “Enzo” al calice accompagna alcune delizie by Ambrosino. Mediterranee? Sì, ma non solo. In loro si legge la sostenibile leggerezza dell’equilibrio fra il sapido e il delicato, il dolce e l’amaro. In loro si sente il sole ma pure l’ombra ristoratrice, il cielo ma anche la terra. Una cucina seria, colta, intrepida, essenziale, curiosa, provocatoria, arguta e acuta quella di Marco. Che non dimentica gli elementi dell’ironia e del gioco. Oliva verde - cultivar tonda iblea - ripiena di olio d’arancio e sambuco; corallo, pomodoro, miso e finocchietto; infuso di Marsala, capperi e olio al timo; macaron al burro e acciughe; e crema di semi di zucca con olio al mandarino.
Un divertissement, con tanto di sasso da leccare. Per assaporare un’emulsione di erbe aromatiche e limone.
Mentre il pane - con farina integrale e semi - strizza l’occhio a burro affumicato e polvere di cipolla alla brace. “Amo molto il fuoco e le cotture ancestrali. Che cerco di attualizzare”, puntualizza Ambrosino.
Intanto serve il carciofo. Con tartufo, brodo di pane e aceto balsamico di Modena NeroElisir Bio, morbido e armonioso, profondo e prezioso. Pronto a allagare un ortaggio straordinariamente persistente e intenso.
Cambio di vino. Tocca ad “Albus Albi”, il grechetto gentile - noto anche come pignoletto - intitolato ad Alberto. “Un’etichetta che rispecchia appieno il carattere di mio figlio. Che sembra sempre tranquillino e poi sorprende inaspettatamente”, spiega Maria Livia. Un bianco pieno, asciutto e sapido, dal profumo delicato e dai sentori floreali.
Un bianco con le idee chiare. Perfetto in tandem con i fusilli, mandorle, limone ed estratto di cime di rapa di Marco. Agrumi e sensazioni green in un piatto in cui la pasta è lasciata a tratti nuda.
E poi? Arriva lei, la coppa di maiale: elegantissima, con tanto di ventaglio-cialda (che un po’ ricorda la ferratella) a darle un respiro di vanità. Se lo può permettere. Preziosa com’è di olio alle foglie di mirto e sambuco e gel di aceto balsamico di Modena della linea Acetaia degli Scudi. Da tre a cinque, per meglio definirne identità e possibilità di food pairing.
Nel calice è invece ideale il malbo gentile “Ruby Laury”, dedicato alla figlia Laura. Ottenuto dai grappoli - vendemmiati a mano - dell’antico vigneto autoctono di un ettaro. Un nettare violaceo, caldo e rotondo.
E per dessert? Un outsider. Fuori schema e fuori da ogni regola: cioccolato al latte affumicato, cipolla, lampone fermentato e lattuga di mare, con sorbetto di aceto balsamico tradizionale di Modena extravecchio, 25 anni aged. Mentre l’Affinato matura per una dozzina d’anni. Anche se il loro must resta la Botticella Oro. “È la massima espressione dell’igp. Dolce con una netta punta di acidità”, spiega madame Manicardi. Raccontando il gioiello dell’acetaia di famiglia.
Foto di Manicardi by Francesco Mion e Diambra Mariani