È fresca, fragrante e piacevolmente opalescente. Protetta da Zeus, il suo luppolo dominante. Così è la "3 Luppoli Non Filtrata", la neonata del Birrificio Angelo Poretti. Una birra contemporanea che ha il sapore di un tempo. Una birra fatta oggi, ma con una ricetta di ieri, esaltando il mestiere, arcaico e moderno, del mastro birraio. Che usa la tecnologia, non scordando mente e mani.
E proprio sull’artigianalità il birrificio varesino desidera far focus. Con un progetto quale #RitornoalleOrigini: una celebrazione dell’antico saper fare nell’epoca digitale. Per una narrazione social di botteghe resilienti, resistenti e ancora esistenti al tempo della globalizzazione e della velocità. Così, a partire da maggio e per tutta l’estate, sette igers immortalano, attraverso scatti e video, altrettanti vecchi mestieri. Cogliendone l’anima originaria ed evoluta, nutrita da valori tramandati di generazione in generazione, ma sempre capace di rinnovarsi.
Dunque? A Davide Molica (@il_mastromatto) il compito di illustrare il lussuoso e meraviglioso mondo milanese degli ombrelli firmati Maglia. Pronti a sfidar con classe le intemperie dal lontano 1854.
E poi c’è Marika Marangella (@marikamarangella), cui va l’onere e l’onore di tessere le abilità dell’Antica Cappelleria Malaguti, dal 1870 presente a Bologna. E c’è pure Gianmarco Torbi (@disarmonico), che accende i riflettori sull’Antica Barberia Peppino, un vero cult nel cuore di Roma.
Mentre Elisabetta Rossi (@labettarossa) si concentra sulle fragili ed eterne collezioni in vetro di Murano della Fornace Mian e Nicola Carmignani (@nicolacarmignani) incontra la preziosa competenza di Meda Orafi. Fondata a Milano nel 1916 e oggi portata avanti dalla giovane Miriam. Che, con cura maniacale, forgia anelli, collane, orecchini e bracciali di pregevole fattura.
E le viole, i violini e i violoncelli griffati dalla Liuteria Trabucchi di Cremona? Sono affidati alla sensibilità di Gionata Smerghetto (@gionata_s). Pronto a tradurre gli archi in memorabili hashtag.
A Roberta Mazzoni (@_lagiuditta) infine l’incarico di ritrarre il savoir-faire dei mastri birrai - come Flavio Boero - del birrificio lombardo. Un’avventura che continua da oltre 140 anni. E che ora vi raccontiamo un po’.
Rewind: alla fonte di una lunga storia
Per fare una buona birra? Ci vuole l’acqua. Meglio ancora se ritenuta miracolosa, come quella della “fontana degli ammalati”, una sorgente del fiume Olona. Cosi chiamata in virtù dei suoi presunti poteri curativi. Un’acqua purissima, incontaminata e benefica, il cui potenziale doveva ben conoscere Angelo Poretti se decise di edificare il nascente birrificio proprio lì accanto. Nel cuore della Valganna.
Angelo. Un visionario. Originario di Vedano Olona, cresciuto professionalmente nelle infrastrutture ferroviarie e poi partito da Varese. Alla volta delle mitteleuropee Austria, Boemia e Baviera. Per capire e carpire tutti i segreti della birra. Un uomo acuto e intraprendente. Che, a Induno Olona, dà il via a un’attività brassicola firmata col suo nome e col suo cognome. E la prima cotta arriva presto: il 26 dicembre 1877, anche grazie al lavoro meticoloso di esperti mastri birrai, a materie prime di eccellenza e ad attrezzature all’avanguardia. Sta di fatto che, nel 1881, la prima pilsner italiana è già protagonista dell’Esposizione Nazionale di Milano, ospite dell’elegante chalet svizzero. Un bel traguardo, celebrato e consacrato in occasione di Expo 2015, quando la Poretti viene eletta birra ufficiale del Padiglione Italia.
Una storia fatta d’intelligenza e lungimiranza. E anche di tanta arte. Certo. Lo storico birrificio è portatore e ambasciatore degli iconici stilemi dello Jugendstil, la traduzione tedesca e industriale della più francese Art Nouveau. Del resto, basta osservare l’edificio - realizzato sul finire dell’Ottocento dallo studio di architettura di Stoccarda Bihl e Woltz - per notare come, con geometrico rigore, su uno sfondo giallo e grigio, la struttura venga razionalmente scandita da maestose vetrate, teste di leone, mascheroni e lesene decorative.
E se all’esterno l’occhio cade sull’imponente Torre dell’Acqua, paesaggistico iconema realizzato a partire dal 1909, con funzione di serbatoio d’acqua, è solo entrando nella suggestiva Sala di Cottura - datata 1908 - che si scopre la fucina operativa dell’azienda. Rimasta ancora come allora, con i suoi sinuosi e maestosi tini in rame, i suoi lampadari d’epoca e le sue piastrelle-mosaico. Che regalano allo spazio un suggestivo effetto cromatico bianco e verdone. “Abbiamo modificato solo il pavimento. Per sistemare tutte le moderne tecnologie”, spiega Alberto Frausin, amministratore delegato di Carlsberg Italia. Di cui il birrificio è unica sede nazionale.
Carlsberg. Sì. Un’ennesima storia legata all’arte e al savoir-faire. Ma prima, un passo indietro. Alla morte di Angelo (nel 1901) l’eredità passa a i nipoti Edoardo Chiesa e Angelo Magnani. Che, non solo completano l’opera avviata dallo zio, ma vanno oltre. Visto che è proprio Angelo junior a far costruire Villa Magnani, affidando il progetto a colui che già aveva tracciato i disegni della Stazione Centrale di Milano: l’architetto toscano Ulisse Stacchini. Un florilegio di Liberty e di bellezza, immerso nel parco botanico che incornicia il birrificio.
Successivamente arriva un’altra generazione di imprenditori lombardi: i Bassetti. Pronti a rilanciare la maison, incorporando anche il marchio di birra Spluga (poi Splügen), prodotta in quel di Chiavenna. Il successo è garantito. Ed è proprio nel 1975 che Aldo Bassetti firma l’accordo con la United Breweries (in seguito Carlsberg Breweries) di Copenhagen per la commercializzazione in Italy dei marchi Tuborg e Carlsberg. Poi? Nel 1982 il passaggio della metà delle quote azionarie di Poretti al gruppo danese; nel 1998 la cessione di un ulteriore 25% del capitale e il cambio di ragione sociale in Carlsberg Italia, sino alla completa acquisizione nel 2002 da parte di Carlsberg Group. Una realtà imprenditoriale sostenuta e supportata da una fondazione commerciale: la Fondazione Carlsberg, nata nel 1876 per volontà dello stesso Jacob Christian Jacobsen (il founder di Carlsberg, nel 1847), al fine di garantire un futuro fatto di ricerca e di sperimentazione. Nell’ambito delle scienze naturali, sociali, umanistiche e artistiche.
Basti pensare che c’è l'illuminata fondazione dietro gli scavi archeologici del Foro di Giulio Cesare a Roma. E basti ricordare che proprio in seno ai laboratori danesi il professor Emil Christian Hansen scopre e isola un coltura di lievito puro che cambia per sempre il mondo di far birra: il saccharomyces carlsbergensis, per l’appunto. Alla base delle birre a bassa fermentazione. Mentre è il saccharomyces cerevisiae, lo starter di quelle ad alta fermentazione. Anche se poi ci si mettono pure il malto d’orzo (più chiaro o più scuro, a seconda del grado di tostatura desiderato) e il luppolo. Anzi, i luppoli: da amaro (aggiunti all’inizio della bollitura del mosto) e da aroma (aggiunti verso la fine del processo). Una pianta dioica il luppolo, che presenta sia inflorescenze maschili sia femminili. Ma sono solo queste ultime, dalla peculiare forma a pigna, a venire utilizzate.
Lieviti, malto d’orzo e luppoli. “Perché non è birra sino a quando non giunge il luppolo”, come precisano i mastri birrai. Materia prima, quindi. Manche tanta tecnologia, nell’ottica della massima sostenibilità. Come l’introduzione della pastorizzazione flash, che consente di trattare la birra a una temperatura più alta, ma per pochissimi secondi; e l’avveniristico sistema di spillatura DraughtMaster, senza aggiunta di anidride carbonica. Per mantenere intatte le peculiarità organolettiche della birra grazie a fusti in PET totalmente riciclabili. Per un’economia eco e circolare.
Un birrificio volitivo e vivace, aperto al pubblico in occasione delle Giornate di Primavera targate FAI, il Fondo Ambiente Italiano. E visitabile su prenotazione. Per un percorso che va dalla Sala di Cottura al Negozio del Birrificio, passando per Villa Magnani. Dove, spicca La Casa di Angelo: uno spazio “di rappresentanza”, dedicato agli ospiti, ma ideale anche per qualche evento privato. Segni particolari? La teoria di spine in rame e la parte gourmand affidata al ristorante Da Venanzio. Altra gemma di Induno Olona.
Una curiosità? È nato il "10 Luppoli Spritz", messo a punto utilizzando la dorata e spumeggiante fuoriclasse della maison. Uno Spritz da assaggiare nell’avamposto meneghino e gastronomico del birrificio: il 7 Luppoli - Birra e Cucina.
Sette, come il numero che definisce pure le stagionali della casa. Tutte non filtrate e lievemente velate: “La Fiorita”, primaverile, esuberante e profumata ai fiori di sambuco; “L’Esotica”, estiva, radiosa e fruttata per la presenza del mango; “La Mielizia”, autunnale, ambrata, morbida e preziosa di miele di castagno; e “L’Affumicata”, invernale, profonda e virtuosa della presenza di malto affumicato e uvetta di Corinto.
Insomma, un birrificio storico, che sa parlare il linguaggio dei millennials.
In gallery molte foto di Claudia Calegari