C’è chi, in terra di Parma, si affida all’aria del Marino per la stagionatura dei prosciutti. E chi, in India, sfrutta l’umida potenza dei monsoni per ottenere un caffè intenso, complesso e deciso. In ogni arte ci vogliono conoscenza, sapienza, saggezza e una buona dose di intuito e maestria. Lo sa bene anche Nespresso, che con la nuova linea Master Origin non solo vuole accendere la luce su cinque differenti territori di origine del caffè, ma pure concentrarsi sulle indigene tecniche di lavorazione. Che sono diverse, da Paese a Paese, in armonia con la natura e la cultura. Il risultato? Cinque caffè dall’anima globale ma caratterizzati da un profondo expertise locale. Quasi a ribadire che “un caffè non vale l’altro”, come precisa Massimiliano Marchesi, Nespresso coffee ambassador.
Ecco allora l’India, prezioso di caffè robusta sottoposto alla cosiddetta monsonizzazione, una tecnica post raccolto che si attua da giugno a settembre, quando i venti sono più accentuati. In pratica, i chicchi verdi vengono cullati dai vigorosi monsoni, l’umidità sale gradualmente e il loro colore muta, sino ad assumere tinte giallo paglierino. Un trattamento peculiare, che in qualche modo va a ricordare l’epoca coloniale, quando i mercanti trasportavano il caffè (verso l’Europa) sui velieri, lasciandoli in balia delle alterazioni climatiche. Quello che si ottiene è un prodotto corposo e speziato, dalle note di pepe nero, cacao, tabacco, cannella e liquirizia. Ideale in tandem con la sbrisolona, come suggerisce lo chef Andrea Berton alla presentazione della new collection.
Andrea che mette a punto pure una serie di piatti preparati o abbinati alle neonate capsule. Così l’India viene trasformato in crema, per accompagnare capesante, patate soffiate, melanzana e crema di liquirizia. “A richiamare una nuance del caffè, ma anche per contrastare il timbro dolce e iodato dei molluschi”, spiega lo chef stellato.
Decisamente più dolce, armonioso e vellutato il Nicaragua, un 100% arabica dal profilo aromatico che rammenta caramello, gianduia, miele di tiglio e pane tostato. Un caffè delizioso, complice un metodo di lavorazione definito “black honey”. I coltivatori spolpano le ciliegie come sono soliti fare, ma lasciano parte del frutto attaccato al chicco, che ne assorbe gli zuccheri durante la fase di asciugatura al sole. Una pratica accurata e meticolosa, che regala una tazza equilibrata e delicata, ideale se abbinata a un biscotto al mais.
E se il Nicaragua entrasse in un piatto? Starebbe benissimo - sublimato in una crema piuttosto liquida - con crema di broccoli, gnocchi croccanti, foglie di cavoletti di Bruxelles e polvere di pane gratinato. Come Berton insegna.
Scendendo un po’ più a sud, e rimanendo in America Latina, si trova la Colombia. E pure il Colombia, un caffè fruttato, brioso e vivace, con sentori di frutti rossi, uva passa e biscotti. Un caffè che insegna ad aspettare, adottando la tecnica del raccolto tardivo (un po’ come accade in vigna con le uve surmature). Le ciliegie vengono infatti lasciate maturare sulla pianta per un periodo più prolungato, sviluppando un tono rosso-violaceo e aromi vinosi, per poi venir raccolte manualmente. Un iter laborioso e rischioso, che richiede continui controlli, per evitare… che sia troppo tardi. Ma quello che si ottiene è un prodotto sorprendente, che ben sposa un friabile biscotto alla vaniglia.
Ma Berton traduce il Nicaragua persino in un sugo. Sì, in un brunito intingolo che correda perfettamente un merluzzo con purea di patate all’olio extravergine.
Ricco, floreale e solare è invece l’Ethiopia. Un caffè inebriante, che vanta echi di tè al bergamotto, marmellata d’agrumi e albicocca. Il segreto? Sta ovviamente nella pratica di asciugatura naturale: le ciliegie intere vengono posizionate su grandi tavole rialzate e arieggiate, e smosse regolarmente fino alla completa essiccazione (a volte sono necessarie quattro settimane). Il chicco rimane così a contatto con la polpa del frutto per molto tempo, mutuandone la dolcezza. Sorsi golosi, da completare con un biscotto al tè.
E se si volesse abbinare l’Ethiopia a un piatto? Voilà guancia di vitello, carote, nocciole e frutto della passione. “Che ricordano le note dolci del caffè”, puntualizza Andrea Berton.
Dall’Africa all’Asia il passo è breve. Basta cambiare capsula e selezionare l’Indonesia. Un caffè arabica al cento per cento - proveniente dalla zona settentrionale dell’isola di Sumatra - dal timbro esotico e wild, come la giungla in cui nasce. Merito anche del metodo utilizzato, il così chiamato “wet hulled”, che consiste nel privare i chicchi del pergamino quando sono ancora umidi. Per poi lasciarli asciugare ai raggi del sole. Il risultato sono sorsi selvaggi e profondi, dagli accenti di miele di castagno e di cioccolato fondente. Perfetti con i cookies.
Sorsi dalle sfumature legnose e boisé, che ben incontrano un dessert by Berton: un tubo alla crema di caffè, con gelato al caffè e meringa bruciata.
Ciascun Master Origin può essere degustato in versione “espresso” oppure in declinazione “lungo”. Buon viaggio.