“Questo posto? È tutto quello che l’ospite vorrebbe che fosse”. Oscar Mazzoleni ha deciso di creare un luogo in grado di contenere tanti luoghi: quelli della memoria, del sogno, del salotto di casa e del ristorante fuoricasa. Al Carroponte Oscar ha voluto dare un’identità forte, poliedrica, volitiva e versatile. Scegliendo una zona un po’ decentrata di Bergamo. E diventata il centro di un altro mondo: sofisticato e smart al tempo stesso. Perché qui si fa altissima qualità con nonchalance, senza l’ansia dell’ostentazione. Della serie: “Il vino c’è, anche se abbiamo cercato di nasconderlo”, spiega Silvia Mazzoni, compagna e socia di Mazzoleni in un’avventura eno-ristorativa che prosegue con successo da un poker di anni. “Silvia è il motore, io sono le braccia”, puntualizza sereno Oscar.
Sì, il vino c’è. Eccome se c’è. E non potrebbe non esserci in quella che è stata eletta “Cantina dell’anno 2019” dalla Guida Ristoranti d’Italia de l’Espresso. Vino, riassunto in una carta dinamica, in costante aggiornamento, che conta circa 1.500 etichette, di cui seicento solo di bolle. Perché? Perché Oscar ama le bollicine. Quelle dello Champagne, per esempio. Krug in primis. Visto che Al Carroponte è una Krug Ambassade, capace di inanellare anche diverse edizioni di colei che rappresenta la massima espressione dell’ars artigiana della francese maison: la Grande Cuvée, qui presente dalla 161ème alla 166ème Édition. Alle quali si aggiungono i Krug collection, i vintage, i rosé, i grandi formati, la purezza dello chardonnay del Clos du Mesnil e la luminosità del pinot noir del Clos d’Ambonnay.
“Noi abbiamo bottiglie che amiamo molto. Per capirci: quelle che ci berremmo se dovesse arrivare all’improvviso un temporale”, precisa Oscar. Che in carta dedica le prime venti pagine all’esuberanza del perlage. Pure di altri Champagne. Vedi Ayala, Bollinger, Boizel, Delamotte, Dom Perignon, Egly Ouriet, Jacquesson, Jacques Selosse, Louis Roederer, Bruno Paillard, Perrier-Jouët, Philiponnat, Pol Roger, Roger Coulon, Veuve Cliquot, Ulysse Collin. Per un alfabeto che se non giunge alla zeta arriva sino alla “Y” di Yann Alexandre. Senza contare le etichette di Franciacorta (come il Vintage Collection Dosage Zéro R.S. Riserva 2003 di Ca’ del Bosco), il Trentodoc (Ferrari docet), ma anche il brut di Donnafugata. Brillante espressione siciliana. Per poi passare ai bianchi, ai rosati, ai rossi, ai nettari da meditazione. Del mondo, d’Italia e di Francia, con un focus sulla Borgogna. Dove nasce il Chorey-lès-Beaune by Domaine Tollot-Beaut.
Insomma, qui il vino è ovunque. In orizzontale e in verticale, in alto e in basso, in fila lungo gli scaffali e disteso nelle cassette in legno. E a richiamare il mondo dionisiaco vi sono le tavole-botti e gli sgabelli-tappi in sughero. Che Oscar mostra orgoglioso. Dopotutto lui - classe 1979 e tifoso atalantino - è pure sommelier Ais, maître professionista e Chevalier de l’Ordre des Coteaux de Champagne. Uno che col calice e con i commensali ci sa davvero fare. Complici un savoir-faire speciale, il sorriso sulle labbra e due talenti come Mirko Bacchi e Michela Calvi, puntuali e precisi nel servizio in sala.
Sala. Che si dipana fra enoteca, bistrò e ristorante vero e proprio. Impreziosito delle opere iconiche, ironiche, materiche e freack style del bergamasco Beppe Ranica. Mentre fuori, un pergolato di uva e gelsomino accoglie gli ospiti nella bella stagione. “Ho voluto realizzare qualcosa che non c’era. Cercando di far felici tutti, grazie a una proposta accessibile a tutti”, racconta monsieur Mazzoleni. Patron di un’insegna che mutua il nome da quel che era prima: l’officina di macchinari e utensili Ciceri. E il carroponte - con tanto di gancio in ferro - lo conferma. Svettando proprio sopra un wine bar dalle linee essenziali. Arricchito, qua e là, da piante e fiori.
Da officina a fucina gourmand, dunque. Easy e smart se si vuol assaggiare qualcosa di buono in libertà: per l’aperitivo oppure per uno spuntino a tarda sera (fino all’una di notte il venerdì e il sabato). Piacevolmente ricercata e raffinata se si preferisce pranzare o cenare in tutta calma. Tanto qui l’eccellenza è sempre protagonista. A partire dai salumi e formaggi. Ideali con un buon calice. Fra i must: il parmigiano reggiano di sola bruna alpina stagionato 40 mesi e lo jamón ibérico de bellota Juan Pedro Domecq.
Ed è proprio la paleta iberica di Juan Pedro Domecq ad avvolgere il bonbon di mozzarella e acciuga. Golosa rilettura della mozzarella in carrozza, messa a punto dal giovane chef Fabio Lanceni. Che ha in mano tutta la cucina. Finger food inclusi. Fra i quali si fanno notare il “lollipoll”, aletta di pollo (disossata e fritta) con scamorza; la tartare di manzo con grani di senape (e tartufo, quand’è tempo); la caponata di melanzane; la polpetta di quinoa fritta con maionese al topinambur; il micro foie gras burger e il prawn-roll, panino-cuscino tostato al burro con gamberi e maionese. “Il pan brioche lo facciamo noi. Così come quello del burger”, tiene a precisare Oscar. Attento al no waste. Tant’è che il pane avanzato non viene gettato, bensì riciclato in forno con timo, aglio e rosmarino.
Ma i finger non sono solo di terra. Anche l’acqua fa la sua comparsa. Sotto forma di gambero rosso di Mazara del Vallo, sarde fritte con dripping di salse, baccalà mantecato con chips di polenta, e salmone: norvegese Lerøy con basilico fritto; selvaggio con crescione d’acqua. E il caviale? Può incontrare pane tostato, burro, patata (Bologna) e panna acida, nelle declinazioni Calvisius tradition royal, Ars Italica oscietra classic e Calvisius siberian royal. Pronto a finire pure sul carpaccio di storione con chips di polenta e prezzemolo fritto; nonché nel risotto (by Salera) con jus de viande e midollo in due consistenze.
Da non perdere? La capasanta in pasta fillo con nero di seppia e finto peperoncino; la terrina di foie gras con pan brioche e chutney di frutta esotica; e il casoncello rigorosamente fatto in casa e servito in un padellino griffato Pentole Agnelli. Azienda bergamasca con sede a Lallio.
È invece il pastificio osimano di Carla Latini a far gli spaghetti grandi 600.27 (600 come le varietà di grano duro conosciute da Carla in tanti anni di lavoro; e 27 come le tipologie di spaghetti realizzati nel tempo). Che chef Lanceni condisce con aglio, olio, peperoncino e gamberi.
Mentre le tagliatelle homemade passeggiano nel bosco con porcini e frutti di bosco.
A seguire, per chi ama la carne: filetto di cervo con topinambur arrostito, crema di castagne e riduzione di vino. In alternativa? Piccione: filetto quasi crudo, petto confit e aletta e coscetta cotte a bassa temperatura. Per completare il tutto con verze e lollipop del volatile.
E per chi adora il pesce? Scorfano con sauce vierge, cavolo cappuccio alla piastra e chips di zucca; piovra arrostita con peperoni in due consistenze e cenere di olive; o il pescato del giorno. Del tipo, tataki di tonno rosso, nero di seppia, germogli di soia, broccoli, pomodori, porcini e dressing di frutti rossi.
Per concludere con un dessert… che pare un cocktail: il “Moscow Mule”, ossia bavarese al lime, sciroppo di zenzero, gelatina alla vodka e sorbetto al limone. Decisamente rinfrescante. Mentre il tiramisù si evolve, traducendosi in crema di mascarpone, cubi di savoiardo e gelatina di cioccolato e caffè; l’autunno si esprime in un parfait al latte, crema di cachi e castagne salate; e la classicità dà vita a uno strudel di mele con pinoli, uvetta e gelato alla cannella.
E se a pranzo la carta vale sempre - con l’aggiunta del business lunch - molto indicati sono due “panini” sublimi. L’aristocratico “Lobster Roll” e il più pop “Carroburger”: hamburger di manzo da 200 grammi con pane al sesamo fatto in casa, pancetta bergamasca, parmigiano reggiano, cipolla rossa di Tropea in agrodolce, ketchup, maionese senapata, pomodoro e insalata.
Un locale in perenne evoluzione Al Carroponte. Che comunque ama soffermarsi sui dettagli, mettendo in calendario anche cene ad hoc. Come quella in programma mercoledì 21 novembre, alle 20.30. Sul palcoscenico? Le etichette di un illuminato produttore di Langa qual è stato Domenico Clerico. L’uomo del Barolo, l’interprete del nebbiolo, conquistato vigna dopo vigna, sacrificio dopo sacrificio. Un omaggio alla passione alla determinazione, scandito in un tasting menu esclusivo. A partire dalle chips di polenta con tartare di bufala e burrata. In abbinata al Nebbiolo “Capisme-e” 2017.
È poi il più corposo Barolo 2014 a incontrare l’uovo: cotto a 68°C e corredato di cavolfiore in crema e croccante e scaglie di tartufo bianco.
Barolo “Pajana” 2013 invece per il risotto alla camomilla ed erbe di campo con riduzione di jus de viande e croccante al parmigiano. Un piatto vellutato per un vino ricercato, proveniente dal cru Ginestra, in quel di Monforte d’Alba.
Mentre la guancia di vitello brasata con scaloppa di foie gras e mousse di patate al profumo di tartufo strizza l’occhio al leggendario Barolo “Aeroplanservaj” 2013, figlio del cru Baudana, a Serralunga d’Alba.
Per concludere con la torta sacher, crumble al cacao, mirtilli e sorbetto ai frutti di bosco.
Non resta che l’ultimo monito di Oscar : “Quando apri una bottiglia la devi finire”. Così sia.