“Noi facciamo una cosa. Ma cerchiamo di farla bene. Proponiamo un solo impasto. Ma realizzato al meglio. Presentiamo una decina di pizze in carta. Ma con prodotti selezionatissimi”. Tiene fede al less is more di Mies van der Rohe Francesco Saggese. E fa centro. Non proprio in centro a Milano. Ma sotto i portici di Melegnano, a due passi dal mediceo castello tardo medievale che caratterizza la tranquilla cittadina nel Parco Agricolo Sud del capoluogo lombardo.
“Sono vent’anni che abitiamo a San Donato Milanese. A dieci minuti da qui. E così appena c’è stata occasione abbiamo aperto in zona”, spiega Francesco. Tutto chiaro. Così com’è palese il significato di quel numero che appare nell’essenziale insegna: 081. Proprio come il prefisso di Napoli. “Perché sono nato a Torre Annunziata e qui propongo il classico impasto napoletano, con il cornicione alto e ben sviluppato”, precisa il giovane e creativo patron. Affiancato nell’avventura dal puntiglioso fratello minore Davide - che tiene l’amministrazione - e dalla moglie Marta, occhio attento su arredi e dettagli.
L’ambientazione elegante conferma: due sale (per un centinaio di coperti), allagate dal minimalismo, dai colori tenui, da verticali lampadine e da cornici vuote. Uno spazio fresco e lineare, ritmato da tavoli di manifattura brianzola e di provenienza belga, che si fanno notare per rigore e geometria. E poi? Ci sono le pareti nude. Vestite, in taluni tratti, da pannelli fonoassorbenti punteggiati da mille fori. “Ricordano l’alveolatura della pizza”, puntualizza Saggese senior. Che proprio senior non è, visto che è nato nel 1987, mentre Davide nel 1990.
Qua e là, le lavagne rettangolari. “Ci scriviamo le nostre pizze speciali. Quattro in genere. Se piacciono e funzionano poi entrano ufficialmente in menu”, spiega Francesco. Facendo riferimento al (momentaneo) poker extra carta: “’A Tonnara”, con fiordilatte di Agerola, filetti di tonno di Cetara sott’olio, cipolla rossa di Tropea stufata con carote, aglio e olio, olive taggiasche e basilico; la “Vegana”, con crema di zucchine, porcini trifolati, olive taggiasche, fiori zucca e fiocchi di pomodoro; la “Bufalona”, con pomodoro San Marzano, mozzarella di bufala campana, bocconcino di bufala (aggiunto fuori forno) e prosciutto di Parma by Casa Graziano; nonché “’A Scapece”, con zucchine alla scapece, pancetta arrotolata, parmigiano reggiano di 24 mesi di stagionatura e fiordilatte agerolese.
Tutti abbinamenti studiati e pensati con sapienza. Pronti a eleggere prodotti di eccellenza. In gustosi ossimori nutriti di dolce e sapido, acidità e grassezza, delicatezza e determinazione. Topping intriganti, in cui emergono il know-how e il background di Francesco, per tanti anni nelle cucine haute couture di Elio Sironi al Bulgari, de Il Luogo di Aimo e Nadia e del Michelangelo Restaurant di Linate, al fianco dello chef Michelangelo Citino. Insomma, uno che ha la cucina nelle vene. Si vede e si sente. Complice un impasto a lunghe maturazione e lievitazione. Una base realizzata con la farina macinata a pietra di tipo “1” Petra 3 di Molino Quaglia. “Petra 3 in purezza”, sottolinea Francesco. “Perché noi amiamo le cose semplici ma non le cose facili. Anzi, ora voglio portare l’impasto sino a 48 ore di lievitazione, per raggiungere ancor più scioglievolezza”, svela il saggio Saggese. Supportato nell’operazione “impasto” dal pizzaiolo Vincenzo Terracino. Una mission riuscitissima, visto che il locale è pure entrato a far parte dei Petra Selected Partners, il network esclusivo voluto dal molino atestino.
Intanto, Francesco supervisiona tutto. “Nei primi sei mesi di apertura sono stato sempre di sentinella al pass. Perché la pizza deve essere wow. Altrimenti non hai fatto centro col cliente. Se una pizza torna indietro per me è una sconfitta”, continua il giovane patron. Ma qui le pizze non fanno certo marcia indietro. Veraci e mediterranee, dal cuore al cornicione. A partire dalla “081” con pomodorini gialli di Corbara, alici di Cetara, olive taggiasche e fettine di caciocavallo. Non dimenticando la “Pistacchio e Murtadell”; “La Contadina”, con provola agerolese affumicata, guanciale, patate al forno, olio al rosmarino, pepe e basilico; ’A Norma”, con melanzane fritte e ricotta salata; e la “Salsiccia e Friarielli” con provola fresca, friarielli, peperoncino e salsiccia di maialino nero casertano.
Inoltre, ogni mese, arriva una special guest. “Un grande classico, riletto secondo i canoni dell’esclusività”, spiega Francesco, facendo riferimento alla “Capricciosa”, summa di champignon trifolati, carciofi arrosto, olive taggiasche e prosciutto cotto di alta qualità. Ma potrebbero giungere anche la “Quattro Stagioni” e la “Mimosa”, di gran voga in Campania, con cotto, panna e mais. “Ecco, qui utilizzerei la pannocchia abbrustolita e poi sgranata sulla pizza”.
Un’insegna in perenne evoluzione. Che ogni lunedì sera manda in scena due menu degustazione: il classico (a 22 euro) e il creativo (a 26 euro). Ritmati da un antipasto, due pizze mignon (ma non proprio piccole, visto che ogni impasto pesa 150 grammi) e un dessert.
Sì, perché da 081 non mancano né il capo né la coda. Fra le entrée: mozzarella in carrozza e bruschetta con burrata, pomodori secchi e alici. Il pane? È fatto col medesimo impasto della pizza e cotto rigorosamente nel forno a legna. E per dolce? Torta caprese con crema al limoncello dell’Antica Distilleria Petrone di Mondragone, in terra di Caserta; e Babbamisù, una crasi golosa fra babà e tiramisù, nord e sud. Traduzione: mezzo babà a far da base, ben inzuppato di rum e caffè. Mentre una crema - a base di panna, uova e mascarpone - funge da nuvoloso topping. Con corredo di cialdina crunch al cacao.
A pranzo? Dal lunedì al venerdì è disponibile anche una carta più smart, che inanella qualche calzone, gustose insalatone e il partenopeo panuozzo. Con la possibilità di mangiare a 10 euro. E le pizze? Non mancano: dalla “Marinara” alla “Margherita con la ’nduja”, dalla “Vesuvio” (con pomodorini gialli e datterini) alla “Peperone” (con i peperoni al forno), dalla “Cacio e Pepe” (con fiordilatte, pecorino romano crosta nera, pepe nero e olio extravergine) alla “Amatriciana” (con San Marzano, guanciale, cipolla, pepe e pecorino). Per rileggere i primi piatti della tradizione italiana.
Nel calice? Qualche vino, come la profumata Falanghina del Sannio o il limpido e rubino Aglianico “Rubrato", entrambi griffati Feudi di San Gregorio. Ma anche buone birre. Vedi quelle artigianali e integrali - perché non filtrate e non pastorizzate - del Birrificio Orso Verde di Busto Arsizio. Come la “Wabi”, una golden ale luppolata, dai gradevoli aromi di fieno e fiori di campo; la “Vertigo”, brassicola vertigine dai toni ocra, dai sentori di miele d’acacia e frutta bianca; e la “Rebelde”, un’ambrata complessa ma dall’assoluta bevibilità.
Francesco è pienamente soddisfatto del suo locale di Melegnano, un po’ fuori rotta, fuori dal coro e decisamente fuoriclasse. A Milano? Aprirebbe. Ma a una sola condizione: “Che la posizione fosse centrale. Tanto, per il momento, io ho trovato qui la mia dimensione”.